martedì, giugno 10, 2014

Marco, un anno dopo e un secondo di troppo

"Sei stata in giro oggi?"
"Sono stata a Roma"

Rientro alle 22, questo lo scambio tra me e il coinquilino prima di mangiare qualcosa e andare in camera, l'ennesimo giorno impegnativo di settimana molto impegnativa, di mesi... vabbè, ci siamo capiti.

Apro Facebook, già pensando ai prossimi viaggi, a State of the Net che si avvicina. L'occhio mi cade su un post, la giuria del FunkyPrize, clicco quasi automaticamente e leggo il breve post.
Non è che non capisca le parole, è che l'occhio mi cade sulla foto di Marco e ancora una volta, come tutte le volte da ottobre, il cervello mi fa lo stesso scherzo, ci mette un secondo di troppo a mettere a fuoco che Marco non c'è più.
Come quando sono col giro di persone che lo conosceva e a qualcuno scappa la parola "prestigio" e tutti ci blocchiamo, perché ormai non possiamo più dirla senza pensare a lui, quasi ci si sente in colpa a usarla.
Un secondo intero, tutte le volte - potrà essere così lento, il mio cervello?

Un groppo in gola, un dolore che è meno acuto ma che insospettabilmente è ancora lì, intatto.

Con Marco ho parlato l'ultima volta proprio a State of the Net. Ci siamo incontrati sul treno verso Trieste, vicini di posto per caso.
Non dico niente di nuovo se dico che la personalità di Marco era travolgente, così come la sua gentilezza, evidente anche a chi - come me - l'ha incrociato e ci ha chiacchierato molte volte, ma lo conosceva molto meno di altri.
In quel viaggio abbiamo riso molto, abbiamo parlato del suo amore per la Puglia, scoperto di avere un amico in comune. E poi Marco si è fatto più serio, mi ha chiesto di me, delle cose che stavo facendo in quel momento, mi ha ascoltato mentre raccontavo un po' di delusioni lavorative e di alcune difficoltà.

Non ricordo le sue esatte parole - e se le ricordassi non avrebbe senso ripeterle - ma ricordo di aver avuto quella strana sensazione, il sentirsi stimati davvero da una persona che si stima (e di cui un po' non ci si ritiene all'altezza). Strana, sì, perché è in ambito lavorativo è comune sentire dichiarazioni plateali di amicizia, di fratellanza persino, ma che non vogliono dire niente. La stima, quella è un'altra cosa.
Da quella conversazione che non pensavo di voler avere (condividere delusioni, errori? Ma andiamo!), sono uscita rinfrancata, più sicura, più fiduciosa, pronta a un'altra lunga serie di viaggi, fatica, soddisfazioni e altre delusioni.

Non è stata l'ultima volta che abbiamo parlato, naturalmente: il weekend a Trieste è stato pieno, la conferenza ha stimolato moltissimi discorsi e l'intervento di Marco è stato - oltre che acuto - decisamente il più divertente. Ho pensato molte volte di rivederlo, ma il fatto è che me lo ricordo tutto. Ricordo anche che, mentre rivedeva la sua presentazione prima di salire sul palco, gli avevo consigliato di usare una parola al posto di un'altra. Lui mi aveva ringraziato e durante l'intervento ci aveva scherzato su.

Marco che mi dà simpaticamente della secchiona e io che lo ammetto molto consapevolmente - questo è l'ultimo ricordo che ho.
E il suo dirmi che le cose che sto facendo devo continuare a farle, che ha senso che le faccia, che ha senso che ci creda, nonostante le difficoltà e le delusioni.


Ci penserò ancora giovedì, quando riprenderò il treno verso Trieste.
Ci penso ora, tornata da una riunione a Roma su un progetto che tento di realizzare da anni e che finalmente vedrà la luce.

Non ricordo le esatte parole, ma no, non ho dimenticato niente.
È solo quel groppo in gola, quello scherzo del cervello che ti fa pensare che ricordi male.
È solo quel secondo di troppo ogni volta.

C'è qualcosa di interrotto, di incompiuto, ci si ripete in questi casi.
A me, però, piace pensare che la gratitudine sia un conto che resta aperto.