martedì, febbraio 28, 2012

The Good Wife e il mondo che cambia

Parlare del mondo che cambia, anche attraverso la tecnologia, a volte impercettibilmente, a volte silenziosamente: non dico sia il compito di una serie TV, ma apprezzo particolarmente chi riesce a farlo senza la strizzata d'occhio per far capire "che si è al passo coi tempi".

The Good Wife (CBS) ci sta riuscendo, soprattutto nell'ultima serie. Ecco cosa ne dice Emily Nussbaum sul New Yorker:
What has received less notice than the show’s complexity and its bold female characters is its unprecedented emphasis on technology. This season alone, Lockhart Gardner took a case involving the online currency bitcoin; used Twitter to upend British libel laws; handled a military case involving drone warfare; litigated crimes featuring violent video games and a “date rape” app; and dealt with various leaked-image disasters (a corporation fighting a viral video, an Anthony Weiner-like dirty photograph) 
[...] In this quality, “The Good Wife” stands in contrast not merely to other legal shows, with their “The Internet killed him!” plots, but also to the reductive punditry of the mainstream media, so obsessed with whether Twitter is making us stupid. Put bluntly, “The Good Wife” is to the digital debate as “The Wire” is to the drug war.

lunedì, febbraio 20, 2012

Revolution 2.0: Wael Ghonim e l'attivismo in Egitto al tempo della Rete

Micah Sifry ha partecipato a un incontro di presentazione di "Revolution 2.0", il libro di Wael Ghonim, uno degli attivisti egiziani che hanno animato il movimento attraverso la Rete.
[...] how a new generation that is growing up networked keeps spawning "free radicals"--people who teach themselves how to use technology to build community, share powerful messages and then ultimately weave movements for social change. Ghonim is just the most famous of a list of net-native activists who have figured out how this Internet thing can tip the scales their way.
Su TechPresident Micah ha raccontato l'incontro e recensito il libro, una lettura obbligata.

Nel giugno 2010 Ghonim aveva creato la pagina Facebook "We are all Khaled Said", dopo aver visto le foto di un giovane egiziano picchiato a morte dalla polizia. Una pagina che protestava contro la sua morte era stata creata, ma usava un linguaggio forte, offensivo, e la parola "nizaam" (regime), che un egiziano medio non avrebbe usato, sostiene.

Ghonim aveva quindi deciso di creare un luogo che aggregasse e promuovesse dialogo, mettendo poi in atto delle strategie mirate a far partecipare le persone in modo attivo.
Ecco come Micah riporta la sua spiegazione, partendo dal momento in cui Ghonim entra in contatto con l'amministratore dell'altra pagina:
"The issue lies in the difference between activists and regular nonpoliticized young men and women," he told the other page admin. "Activists speak in rebellious language that is hard for those who have not gone through similar experiences to understand. The result is a gap between activists and their audience." Speaking at Harvard, Ghonim tried to make this distinction clear, declaring that he believed that "Engagism is more important than activism." That is, that it was more important to engage mainstream audiences rather than withdraw from them.
La sintesi di Ghonim è in una frase: "'Engagism' is More Valuable Than Activism".
Un'idea che sicuramente fa discutere, ma su cui riflettere.
A maggior ragione per una storia, quella dell'Egitto, ancora in pieno svolgimento.


venerdì, febbraio 17, 2012

"Geek democracy" - domani a Bologna

Domani pomeriggio sarò a Bologna, ospite delle GGD Bologna per un evento intitolato "Geek democracy": si parlerà di agenda digitale europea (su cui il Comune di Bologna sta facendo un lavoro importante e articolato), politica 2.0, progetti e aspettative.

I lavori saranno aperti dal Console Generale degli Stati Uniti Sarah Morrison e proseguiranno con molti interventi. Di Stati Uniti (e non solo) parlerò anche io - qui qualche nota sparsa in una mini-intervista che mi hanno fatto le GGD bolognesi.

A domani!

Un "diluvio" di dati per tracciare le migrazioni interne

Lo scorso settembre a Oslo ho conosciuto Even Westvang, sviluppatore e genio dei numeri con l'hobby della data visualization.
Even era uno degli speaker di una conferenza chiamata Nordic Techpolitics e presentava un lavoro che analizzava i dati delle scuole di tutta la Norvegia per poi creare una mappa comparativa, chiamata Skoleporten.

Chiacchierando, Even mi aveva mostrato un progetto a cui stava lavorando nel tempo libero: tracciare le gli spostamenti di residenza dei suoi connazionali per capire quali sono i flussi migratori interni: circa 300.000 persone fanno parte di questi flussi (su una popolazione di 4 milioni e mezzo di abitanti).

Il suo lavoro è ora completo ed è visibile in un video piuttosto suggestivo che sta girando in Rete, dal titolo Deluge:
  

Deluge from even westvang on Vimeo.

I dati usati sono quelli relativi a residenza, data di nascita, reddito, tutti dati che il governo norvegese rende pubblici.