giovedì, dicembre 29, 2011

Gladwell Vs. Shirky: un anno di dibattito alla prova dei fatti

 Tahrir Square, febbraio. By Ramy Raoof
Su Threat Level (un blog di Wired USA) Bill Wasik riprende il dibattito Gladwell-Shirky iniziato a fine 2010 su impatto ed effetti della tecnologia sull'azione politica e sociale.
Dopo un anno di primavera araba e Occupy Wall Street, chi aveva ragione?

Il dibattito
In un articolo del New Yorker di cui si è molto parlato (ottobre 2010), Gladwell parlava dell'evoluzione dell'attivismo degli anni '60 per confrontarlo con quello (presunto?) di questi anni di social network.
Nella sua analisi, Gladwell riprendeva anche la distinzione di Granovetter tra strong ties - i legami forti e costanti che manteniamo con le persone a noi vicine, famiglia e amici stretti, presumibilmente in contesti maggiormente omogenei  - e weak ties - quelli deboli che però ci consentono di avere contatti con reti più estese e varie (risultando, ad esempio, più utili nella ricerca di un lavoro, secondo il sociologo). Nelle rivoluzioni, nei momenti in cui è necessaria azione, sosteneva Gladwell, sono i legami forti che ti fanno agire, non certo i legami deboli, non certo i social network e le "amicizie" su Facebook, non i clic di sostegno a cause vicine e lontane.

Pessimismo o realismo?
Non è tutto qui, secondo Clay Shirky, docente a NYU e una delle voci più riconosciute e apprezzate per quanto riguarda le analisi dei movimenti sociali al tempo della Rete (sono considerati fondamentali i suoi saggi Here comes everybody e The cognitive surplus, entrambi tradotti in Italia da Codice Edizioni).
In un lungo articolo Shirky ha risposto così:
“the fact that barely committed actors cannot click their way to a better world does not mean that committed actors cannot use social media effectively.”
Cioè: certo, qualche clic qua e là non ha impatto sociale, ma questo non vuol dire che chi invece sta impegnandosi attivamente non usi invece i social media in modo efficace, persino inventando nuove modi di farlo.

In sintesi
La sintesi la fanno loro in uno scambio di lettere su Foreign Affairs:

Gladwell: [Shirky's] argument to be anything close to persuasive, he has to convince readers that in the absence of social media, those uprisings would not have been possible.

Shirky: I would break Gladwell’s question of whether social media solved a problem that actually needed solving into two parts: Do social media allow insurgents to adopt new strategies? And have those strategies ever been crucial? Here, the historical record of the last decade is unambiguous: yes, and yes.

Chi ha ragione?
Anche in Italia, il dibattito tende a polarizzarsi, perché è molto più semplice gestirlo così (e anche qui andrebbero fatte diverse riflessioni).
Per parte sua Wasik propone alcune interessanti riflessioni sulle posizioni di entrambi e conclude così:
As Shirky puts it, digital networks “do not allow otherwise uncommitted groups to take effective political action. They do, however, allow committed groups to play by new rules.”  
To this assessment, I’d add something else: They create new rules for how committed people get and stay connected with one another, and how those connections get classified, even in their own minds. After all, it’s not hard to imagine that, when faced with a questionnaire asking to list their closest friends or associates, these activists would list one another, rather than their family or the people they drink with in their own hometowns.  
Activists may need “strong ties” to risk their lives in the streets, but it’s clear those ties can stretch across continents, and can consist entirely of bits — right up until the moment when they come together.

Movement Times: Best of TechPresident

"During movement times, the people involved have the same problems and can go from one communication to the next, start a conversation in one place and finish it in another. Now we're in what I call an organizational period, which has limited objectives, doesn't spread very rapidly and has a lot of paid people and bureaucracy. It's completely different from what takes place when there is a social movement."
— Myles Horton, "The Long Haul"

 Tempo di movimento e movimenti: dall'Egitto a Occupy Wall Street, dalla trasparenza amministrativa a Wikileaks, ecco una raccolta dei migliori post di TechPresident nel 2011.
Grazie a Micah Sifry, Nick Judd e Nancy Scola.

lunedì, dicembre 12, 2011

Alaa Abdel Fattah e la rivoluzione egiziana [aggiornato]

Foto di Personal Democracy
Ho sentito parlare Alaa Abdel Fattah al Personal Democracy Forum dello scorso giugno di quello che è stata la rivoluzione egiziana, degli scontri, del movimento in costruzione da anni.

Come altri, Alaa è tornato in Egitto, sapendo che la rivoluzione non era finita e che la deposizione di Mubarak non era necessariamente un automatico nuovo inizio. E infatti Alaa è stato nuovamente arrestato, come già accaduto cinque anni fa.
Questa è la lettera che ha scritto lo scorso primo novembre da una cella delle prigioni egiziane.

Qualche giorno fa è nato Khaled, suo figlio.
Meet Khaled Alaa Abdel Fattah, born last Tuesday to two Egyptian cyber-activists: mother Manal Bahey al-Din Hassan and father Alaa Abd El-Fattah, who is currently in prison.
Khaled is named after Khaled Said, the young man whose violent death at the hands of police in 2010 became a symbol and rallying point for activism that brought down the Mubarak regime earlier this year.”  


[Aggiornamento: Alaa è stato liberato il giorno di Natale]

venerdì, dicembre 09, 2011

Cose da fare a Parigi (quando non hai niente da fare)


Mostre (fino a gennaio)



Mangiare

  • Pozada, 2 rue Guénot (metro Nation o Boulet): piatti prevalentemente a base di carne e verdure, menzione speciale per il dolce, una piramide di mousse di cioccolato e caramello. La carta dei vini sembrava ben fornita, ma non sono un'esperta.
  • La Gazzetta, 29 rue de Cotte (metro Ledru Rollin, zona Bastille): posto molto carino, a cena ha una specie di menu fisso, con 5 o 7 piatti (assaggi di piatti), tutti particolari e curati. Ottimo il merluzzo con mandorle e cavolfiori e il dolce di banane con gelato al caffè.

PdF France - recap

Un po' di cose scritte su PdF France:

giovedì, dicembre 08, 2011

PdF France: il racconto della giornata

Il primo PdF France è andato alla grande!
Ho colto l'occasione per iniziare a usare Storify, che mi piace un sacco. Ecco qui un racconto della giornata, in un misto di inglese e francese.

martedì, dicembre 06, 2011

PdF France - live

Sono a Parigi per PdF France.
Cronaca qui:  @pdf_europe
Hashtag #pdffrance
Spazio Centquatre, sede della conferenza

venerdì, dicembre 02, 2011

PdF France, martedì a Parigi

Da lunedì a giovedì sarò a Parigi per la prima edizione di Personal Democracy Forum France.
Il programma è davvero interessante e comprende politici, attivisti, giornalisti, esperti di dati e combinazioni dei sopracitati.

Argomenti: le prossime elezioni in Francia, il lancio del portale nazionale di dati aperti, cambiamenti del giornalismo al tempo della Rete (sì, anche loro stanno scoprendo Twitter in questi giorni) - e tra l'altro vanno segnalate anche un po' di startup giornalistiche che iniziano a riscuotere significativo successo.

Se siete da quelle parti o fate un giro a Parigi per il ponte, iscrivetevi (l'evento è gratuito e sarà in francese e in inglese).

martedì, novembre 29, 2011

Politica 2.0, reti e persone dal globale al locale: qualche spunto

Ieri ho avuto la possibilità di parlare di politica e Rete con un gruppo di persone molto in gamba e in un contesto che è tra i più stimolanti: l'università.

La Rete e i social media in questi ultimi anni sono diventati inneschi, catalizzatori, agenti di diffusione dell'informazione e della formazione di una nuova sfera pubblica, una sfera altamente interconnessa e in cui è possibile il dialogo e lo scambio di dati tra attori differenti e di diverso peso, dall'istituzione al cittadino.
Cambia la relazione e la qualità di questa relazione, ha detto il professor Roberto Grandi nell'introduzione all'incontro: un'ibridazione di modelli, di spazio sociale, di modi di azione.
Una relazione che salta le intermediazioni solite (i media tradizionali) e trova nuovi intermediari con nuove forme organizzative: discorso privato e discorso pubblico hanno confini sempre meno definiti.

La conversazione è stata lunga e articolata, provo a raccogliere qui qualche spunto.
  • Apertura Vs. Chiusura: Non tutto è aperto, non tutto è uguale quando si parla di social network. "Facebook è un sistema chiuso, Twitter è aperto" ha spiegato Nicola Bruno. Aprire il sistema con le API è la chiave di un modello che può essere metafora anche per il funzionamento dei movimenti degli ultimi anni, quelli senza leader, o "senza testa", come viene raccontato in un libro di qualche anno fa.
  • Movimenti senza testa: I movimenti che nascono al tempo della rete sociale, che siano di protesta o di rivoluzione, usano i social media e l'azione collettiva per ripensare i confini e attraversarli, con i social media a supporto della creazione di modelli di organizzazione, ma anche di un nuovo paradigma di espressione. E di racconto, reale e collettivo. Una strada tracciata che inventa e inventerà nuove forme che ancora non immaginiamo. Per sintetizzare, ho ripreso una frase di Douglas Rushkoff che recentemente ha detto: "Occupy Wall Street è, più ancora che una protesta, un prototipo".
  • Online/Offline: i nuovi movimenti usano i social media per agire e coordinarsi (Twitter è stato spesso usato come esempio, ma può essere affiancato da altri), ma il successo è determinato anche da una commistione di attività online e offline. Lo dimostrano i casi degli Indignados e di Occupy Wall Street: non sono i primi né gli unici movimenti di questo tipo, ma quelli che sono riusciti ad avere seguito, successo e copertura. Una chiave è anche la continua relazione "fisica", in piazza, in assemblea, a discutere e guardarsi in faccia. E parliamo ancora di virtuale?
  • Ripensare la leadership: Questa mutazione dei movimenti significa la fine della leadership? Niente affatto, precisa giustamente Augusto: la leadership va ripensata e - cosa ancora più importante - rinegoziata. Perdendo il controllo (lezione per giornalismo e diplomazia - ché tanto lo stanno già imparando sul campo).

C'è molto che non riesco a sintetizzare e rilanciare, spero che la conversazione continui e che anche gli altri aggiungano le loro riflessioni.


Altre frasi, altri spunti
  • "Se non c'è tensione sociale, non può esserci movimento" - Marco Trotta
  • "I movimenti non nascono per le arene elettorali, vanno giudicati per l'innovazione dei codici culturali" - Lorenzo Mosca
  • "La comunità è il messaggio" - Augusto Valeriani

Una specie di bibliografia
Si è scelto di usare l'hashtag #openpolitica quindi troverete lì alcuni dei nostri spunti di ieri, altri ne aggiungeremo. Qui la raccolta dei tweet di ieri chez Michele D'Alena.
Dato che di università si tratta, mi sembra appropriato mettere qui una mini-bibliografia dei libri di cui si è parlato:

Bonus Track

P.S. Per me è stata una piccola emozione in più parlare agli studenti nel "mio" dipartimento di comunicazione e nell'aula in cui mi sono laureata. E sì, lo è stata anche rispondere a una domanda con "Studiate, siate curiosi". Roba da vecchi?

lunedì, novembre 28, 2011

Politica 2.0 - oggi a Bologna

Oggi alle 17 sarò a Bologna per parlare dell'impatto della tecnologia sulla politica a vari livelli.
L'incontro si intitola "Politica 2.0? Sfide e opportunità dal locale al globale" e si svolgerà al Dipartimento di comunicazione dell'Università, in via Azzogardino.

Sarò in ottima compagnia:
Sono molto curiosa di vedere come si svilupperà la conversazione su livelli ed esperienze tanto diverse; io cercherò di portare un po' di esperienze dall'estero, in particolare su come cambiano i movimenti al tempo della Rete.

Ci vediamo lì.


martedì, novembre 22, 2011

Identità online: da Salman Rushdie all'uomo comune (forse)

Mini-seguito alla conversazione sull'identità online, dopo l'articolo su Salman Rushdie e l'identità persa (per un giorno) su Facebook.
M. sostiene che Rushdie dovrebbe limitarsi all'uso della pagina fan di Facebook (per intenderci: quella usata da aziende ed analoghe entità "non personali", ma poi anche da personaggi famosi)


Io ho qualche dubbio su questa posizione, e per due motivi:

1. In questo modo si verifica il paradosso per cui il personaggio famoso è scoraggiato all'uso personale del social network. Ora, certo, avere un profilo su Facebook non è certo un diritto costituzionale, è comunque gratuito e si potrebbe anche sostenere che questo è uno dei prezzi da pagare per la celebrità, alla pari di essere seguito da paparazzi o fermato per strada da sconosciuti. Diciamo che è un paradosso curioso, se non altro.

2. Ci sono sfumature tra individuo privato e personaggio pubblico, non dal punto di vista personale, quanto da quello economico: in assenza di una politica chiara e definita (Facebook ha avuto un occhio di riguardo per lo scrittore celebre?), ad esempio, quanto vi vuole perché qualcuno porti in tribunale Zuckerberg&co. affermando di aver avuto danno economico da un trattamento di questo tipo?

Insomma, questo caso può diventare un precedente?
I termini di servizio che accettiamo all'atto dell'iscrizione sono sufficienti a garantire la posizione dell'azienda in casi del genere? Anche in presenza di casi atipici?

Qualche altro spunto sul tema dell'identità online e sui social network come possibili sistemi di identificazione elettronica.

martedì, novembre 15, 2011

Le novità su LinkedIn

Pieno fermento per le attività su LinkedIn: a disposizione le statistiche per i gruppi (che sono più di un milione, ormai) e nuove possibilità di gestione per gli eventi.


Le regole dell'identità su Facebook - the Salman Rushdie edition

Forse, contrariamente a una frase latina, il nostro destino non è nel nome. Ma saranno i social network a deciderlo?
Lo strano caso di Salman Rushdie che per un giorno ha perso il nome (sul suo profilo Facebook).
Ne ho scritto su Apogeonline.

Conference experience

Caffè, wi-fi e spazio all'improvvisazione: dopo molta esperienza sul campo, Anna Ebbesen dà qualche suggerimento di Anna Ebbesen per una conferenza di successo.

giovedì, novembre 10, 2011

Sarah Lai Stirland a TechPresident

Da lunedì avrò una nuova collega a TechPresident: si tratta di Sarah Lai Stirland, già giornalista di Wired e Talking Points Memo.
Chi ha seguito la scorsa campagna presidenziale USA conosce bene il lavoro di Sarah, una delle teste più acute e originali del settore.
Da piccola fan nel 2007, sono molto contenta di averla come collega oggi.

Per leggere qualcuno dei suoi articoli qui c'è un archivio.
In bocca al lupo!

30 anni di hacking per il Chaos Computer Club

Foto dal sito di Owni.eu
A settembre il Chaos Computer Club, il più importante gruppo di hacker d'Europa, ha compiuto 30 anni.
Su Owni.eu un'intervista a Andy Müller-Maguhn, uno dei membri della prima ora (si è unito al gruppo nel 1985, a 14 anni), racconta la nascita ed evoluzione del CCC.
The CCC in Berlin was born from the merger of two computer clubs, one in Hamburg and one in East Berlin. I came from Hamburg in 1989 when the government of East Germany was falling apart. We came into contact with the young talent in East Berlin. 

They had different ways of handling things, they improvised a lot. They also brought their humor and the experience of having already toppled a government. That’s very important, you should never underestimate how they perceived the West German government. For them it was just an intermediate step – at some point we would have to overthrow this government. It was just a matter of time. The structural differences between what existed in the East and the system in the West are not that great. In Berlin we have a saying that in a socialist or communist system you have humans abusing humans. With capitalism it’s the other way around. 
They also had this anti-authoritarian side, and they had come into close contact with the secret services. In Berlin, their experience with the Stasi (the East German secret police) has greatly enriched the CCC. The Stasi are now one of the best documented secret intelligence services that has ever existed. We have all their training manuals and we know the techniques they used to destabilize groups and sow doubt. Their contribution was essential to understanding the modern world, and the mess in Berlin between East and West, with Russian and American influences.

Dai primi incontri tra professionisti dell'informatica ai convegni, dall'esperienza negli anni della Stasi all'affermarsi come voce politica di livello nel panorama dei media tedeschi, il percorso del CCC è affascinante e ricco di spunti di riflessione.
Un'intervista da leggere.

mercoledì, novembre 02, 2011

"LinkedIn is a happening place"


Tornare sul mercato del lavoro, ricredersi su LinkedIn, scrivere un elenco delle cose che un'azienda deve fare per usarlo al meglio.
L'infografica è interessante, anche se relativa a un periodo limitato.


(Ah, domani il librino arriva in libreria. Sì, in carta e ossa.)

mercoledì, ottobre 26, 2011

2 Legit 2 Quit: l'endorsement del web al ritmo di MC Hammer

Un gruppo di pezzi grossi del mondo tech (Marissa Mayer di Google, Biz Stone, co-fondatore di Twitter ecc) decide di sostenere pubblicamente la candidatura di Ed Lee a sindaco di San Francisco.
Attualmente Lee sta svolgendo funzione di sindaco ad interim.

 

Il video riprende una canzone di MC Hammer (del 1991!), "2 legit 2 quit": insomma, il messaggio è che Lee si sta meritando il ruolo di sindaco, perché lasciarlo?

Un tipo di spot di questo genere, con apparizioni di sportivi presenti e passati di fama, mostra, oltre al livello di cura e professionalità in questo genere di cose (citazioni, celebrity, musica, coreografia - la stessa del 1991), anche un paio di cose sul rapporto tra i neonati ma già influenti imprenditori del web.
La prima è che non hanno paura di metterci la faccia quando si tratta di politica, anche in gare apparentemente locali - San Francisco non è una città come le altre quando si parla di tecnologia (e i detrattori fanno notare che queste persone non votano nemmeno a San Francisco).
La seconda è che in qualche modo queste persone stanno diventando sufficientemente rilevanti da poter essere usati - e da voler essere presenti - in uno spot elettorale (almeno in un certo ambito).

Una nuova consapevolezza e una dichiarazione d'intenti.
What's next?

p.s. il video è co-finanziato da Ron Conway, un grosso nome tra gli investitori della Silicon Valley, e da un certo Sean Parker...

lunedì, ottobre 17, 2011

Ushahidi contro la corruzione in Bulgaria

Domenica prossima ci saranno le elezioni nazionali in Bulgaria, uno stato che negli ultimi anni sta facendo sforzi significativi nella lotta contro la corruzione.
Due anni fa una ricerca di Transparency International mostrava come il 97% dei cittadini bulgari lo ritenesse tra i principali problemi del Paese: nelle passate elezioni sono stati registrati tentativi (più o meno riusciti) di corruzione, compravendita di voti, minacce di licenziamento.

In questa tornata elettorale i cittadini potranno però segnalare ed evidenziare pubblicamente irregolarità del genere, grazie al sito "For Fair Elections", costruito su piattaforma Ushahidi.
Ne ho scritto su Apogeonline:
Un gruppo di ONG ha deciso di usare Ushahidi per creare un sito chiamato For fair elections che aggregherà i contributi dei cittadini: video, foto e racconti verranno inviati tramite email, Facebook e Twitter da chi sarà testimone di scontri, tentativi di corruzione e voti contraffatti. I racconti verranno verificati e poi inseriti in una mappa interattiva che mostrerà il tipo di violazione e i materiali correlati. Il sito (disponibile in bulgaro e inglese) non agirà direttamente per inviare le informazioni alle autorità, ma solleciterà i cittadini a farlo offrendo contesto e consigli.

In un recente sondaggio quasi la metà degli intervistati ha detto di aspettarsi brogli (magari non in misura decisiva). Riuscirà For Fair Elections ad arginare questo tipo di episodi?

Quello che gli indignados possono dire alla Spagna a un mese dalle elezioni

"The disgust became a network" ha scritto il sociologo catalano Manuel Castells a proposito degli indignados spagnoli. Ma quanto efficace è questa rete "senza testa" che non si lega alla politica ma che vuole fare politica, che non vuole associarsi ai politici ma dovrà andare a votare tra poco più di un mese?

Sul Guardian Diego Beas, giornalista spagnolo ed esperto di politica in USA e Sudamerica, racconta il movimento nato in Spagna il 15 maggio scorso e illustra quanto fatto in questi mesi nel Paese:
The movement has studiously avoided engaging with ideological agendas, unions and, most importantly, professional politicians. It has filled city squares, co-ordinated online actions and targeted specific topics like banking and electoral reform. It has experimented with bottom-up networked approaches to challenge the rigid, top-down, party driven system that has dominated Spanish political life since 1978. City square by city square, individual meeting by individual meeting, thousands of citizens have come together in a networked approach to politics that is fresh and engaging because it defies, above anything else, the hierarchical approach favoured by vested interests.
Cosa stanno facendo gli indignados per ridefinire la politica spagnola?
The movement's strategy is based on assembling ad hoc citizen coalitions to help push back and challenge specific government actions; trying to figure out how to affect policy by exerting force on specific choke points in the system that badly needs reform. Politicians worried about intra-party politics, re-election or special interests can't see the importance of this. It's about using the power of the network to break entrenched silos and find ways to make the political process more responsive to the needs of everyday citizens.
La distanza con la politica tradizionale non potrebbe essere maggiore e non ha alcun senso usarne approcci e paradigmi, spiega Beas. Il movimento non cambierà i risultati delle elezioni, né dovrebbe avere questa aspirazione.
Ma, a un mese dalle elezioni, e con un nuovo senso di partecipazione nato nella popolazione c'è ancora qualcosa che il movimento può fare per sperare di avere un impatto.

lunedì, ottobre 10, 2011

Nella redazione del Guardian

Perché al Guardian sono i più bravi di tutti: perché un giorno hanno un'idea e dicono "perché non proviamo a vedere come va?", perché la mettono in atto nel modo più semplice possibile.
From today, you will be able to see below a live account of our plans in the form of the daily newslist kept by our editors. It provides a glimpse into the scheduled announcements, events and speeches that make up the news day. You will also be able to view what our editors think about the stories by reading their updates on Twitter in the panel opposite. We will include conversations we have about the day's news, story ideas we get from our correspondents and the latest information on stories that we get during the day.
Perché ti spiegano come funziona la cosa, senza proclami di sorta, perché loro sono i giornalisti, ma sono interessati al tuo contributo (e c'è da crederci, perché sono *già* i migliori), che può essere rilevante.
We won't quite show you everything. We can't tell you about stories that are under embargo or, sometimes, exclusives that we want to keep from our competitors, but most of our plans will be there for all to see, from the parliamentary debates we plan to cover to the theatre we plan to review. We reserve the right to stick to our guns, but would love to know what you think.
Perché sperimentano e ti invitano alla loro riunione di redazione. E, si dice, le riunioni di redazione le fanno sui divani.
 

Arguably

I try not to dwell on it, except that once in a while I say, O.K., I'm not going to make that joke, I'm not going to go for that chortle. Or if I have to choose between two subjects, I won't choose the boring one.
Christopher Hitchens

venerdì, ottobre 07, 2011

Aggiornamenti LinkedIn: status su pagine aziendali

LinkedIn potenzia le pagine aziendali aggiungendo la possibilità di pubblicare status su prodotti, offerte di lavoro e aggiornamenti vari.


(via Business blog)

[Lo dicevamo con Federica: probabilmente è la condanna di chiunque scriva un manuale su cose ancora in evoluzione]

martedì, settembre 27, 2011

Wonkette is back (ed è tempo di elezioni)!

Ana Marie Cox aka Wonkette (una delle prime e più importanti blogger politiche americane) torna a scrivere: è tempo di pensare alle elezioni presidenziali 2012.
Ecco il suo blog sul Guardian.

lunedì, settembre 26, 2011

LinkedIn - Un manuale

Nella frenesia della scorsa settimana ho dimenticato di scriverlo qui: giovedì scorso è uscito un manuale che ho scritto per Apogeo.
Si intitola LinkedIn e prova a spiegare come usare al meglio questo social network nel mondo del lavoro.

Grazie a Federica Dardi, a Sergio Maistrello (che ha scritto la prefazione, cosa di cui sono davvero onorata), a chi è stato così gentile da rispondere alle mie domande.

Spero sia un libro utile.

p.s. Al momento è disponibile solo l'ebook.
Il libro "di carta" sarà nelle librerie il 3 novembre.

giovedì, settembre 22, 2011

I'm not scared, I'm outta here

Avete ragione voi a salutare e andar via quando volete.
Avete ragione a farlo prima che siano i fan a pensarlo - loro, non quelli che alzano mezzo sopracciglio e dicono "ah, non si erano ancora sciolti?" (a loro al massimo sarà piaciuta qualche vostra canzone, saranno dispiaciuti un altro giorno, per altri gruppi e altri cantanti).
Avete ragione a volere altro, ad avere altri interessi, a pensare che sono trent'anni e inserire aggettivi a scelta.

Siete stati cassette, cd, mp3, dai quindici anni ai trenta, per una che non ricorda mai i nomi dei cantanti.
Siete stati colonna sonora come solo da adolescenti, ricordi dolorosi, tentativi di riappacificazione, persino.
Siete stati un concerto indimenticabile in un'estate da dimenticare, un'estate in cui sono cambiate tante cose, ma io più di tutto.
Ed ecco, un altro vostro concerto lo avrei voluto, per avere un ricordo di voi e non di me. Ma in fondo i fan non pensano a se stessi quando vi ascoltano, quando sembra che stiate parlando proprio a loro con le vostre canzoni?

Domani pesterò un po' i piedi e farò finta di essere seccata con gli altri.
Ascolterò alcune canzoni e per un giorno ricorderò molto, forse troppo.
Penserò delle cose e una sarà "grazie".

Beh, ciao.


Twentieth century go to sleep
Really deep
We won't blink

Your eyes are burning holes through me
I'm not scared
I'm outta here
I'm not scared
I'm outta here

mercoledì, settembre 21, 2011

Facebook e la privacy in Germania: un caso politico o uno scontro di culture?

Facebook e la privacy: in Germania è un caso politico. O, forse, l'incontro-scontro tra due visioni del mondo.
In Rete e non solo.
«Smettere di usare Facebook è essenziale per il diritto alla privacy dei cittadini». L’ultimo atto del controverso rapporto tra Facebook e il governo tedesco è arrivato lo scorso 12 settembre quando Ilse Aigner, ministro per la tutela dei consumatori, ha inviato una lettera ufficiale ai suoi colleghi invitandoli a smettere di usare Facebook come strumento di comunicazione con i cittadini. Si tratta di un atto dovuto per dare il buon esempio, sostiene il ministro (che ha cancellato il suo account lo scorso anno in segno di protesta): Facebook non rispetterebbe, infatti, le rigide leggi sulla privacy dello stato tedesco.
Ne ho scritto oggi su Apogeonline.

Bill, Barry e le donne

Il fascino ormai dissolto del presidente in carica e quello mai svanito del suo predecessore - secondo Maureen Dowd. Tempi duri.
Now the president is trapped in two damaging story lines. Is he too weak and immature to do the job? Or is he too cool and distant to do the job?


The Aloof One has to convince voters that he can connect emotionally. In a way, his relationship with Americans now is analogous to a marriage that’s not working. He’s the detached husband; we’re the neglected wife.


Is he paying attention? Does he understand our needs? Or is he just pretending to listen while he watches SportsCenter?

martedì, settembre 20, 2011

Occupy Wall Street

Occupy Wall Street: foto e parole di Paola Bonini sull'Unità.
Tuta da lavoro e caffè nel bicchiere di carta d’ordinanza, su un marciapiedi della Broadway un paio di operai studia con aria sarcastica il flusso che sfila compatto da Bowling Green Park all’imbocco transennato di Wall Street, poche centinaia di metri più avanti “Lo sai, vero, che fra dieci anni questi figli di papà avranno il culo al caldo in qualche banca e noi invece saremo sempre qui?” commenta uno dei due quando gli chiedo il motivo del suo scetticismo.
I figli di papà in questione sono un migliaio e aderiscono a un ventaglio piuttosto ampio di organizzazioni - prima fra tutte la canadese Adbusters, seguita da molte associazioni per la lotta alla povertà e all’emarginazione, a partiti di minoranza e agli hacker di Anonymous, che spiccano nella folla con le maschere rubate a V per Vendetta. Si muovono – senza sosta, perché fermarsi significherebbe, per quanto buffo, trasformare la presenza in occupazione abusiva di suolo pubblico, passibile d’arresto - per bloccare, dal 17 settembre a Natale, il Financial District di New York. Wall Street. L’ombelico della crisi finanziaria mondiale.

Altro materiale:

Oslo, rivoluzione e trasparenza

Foto di Alessio Baù
L’auspicio che ho sentito ripetere da chiunque abbia nominato quel categorico “after July 22” e abbia cercato di raccontare com’è la Norvegia dopo lo shock, è stato che la strage possa per contrasto spingere le vele della democrazia a soffiare più forte e in modo più trasparente. Lo aveva detto esattamente il primo ministro Jens Stoltenberg, dopo quelle ore orrende: “More openness, more democracy”. I cittadini sono con lui e si sente. “Ognuno di noi può costruire una democrazia più forte”, aveva detto. E il suono di quelle parole, a Oslo, echeggia.

Alessio Baù racconta Nordic Techpolitics.

mercoledì, settembre 14, 2011

Viaggio in Portogallo

Decisamente uno dei posti più belli che abbia mai visto.
Un viaggio che mi ha riconciliato con molte cose e che non consiglierò mai abbastanza.

New York 2011

Il consueto album delle vacanze da New York: anche stavolta un po' di foto all'High Line che cresce e continua ad essere uno dei miei posti preferiti.

Elezioni in Danimarca: Facebook, nuovi numeri e vecchi media

Grafica realizzata da Jon Worth
Domani si svolgeranno le elezioni nazionali in Danimarca.

Su TechPresident Anna Ebbesen racconta come le campagne elettorali e i media siano cambiati rispetto alle elezioni del 2007, di come vengano usati dai cittadini e di come Facebook stia giocando un ruolo rilevante.
Sullo stesso tema, ecco una sintesi dell'intervento di Anna a Nordic Techpolitics (con relative slide).

sabato, settembre 10, 2011

"You know, being neighborly"

When the towers fell, I found myself talking to more neighbors in the days after 9/11 than ever before. People said hello to neighbors (next-door and across the city) who they'd normally ignore. People were looking after each other, helping each other, and meeting up with each other. You know, being neighborly.


A lot of people were thinking that maybe 9/11 could bring people together in a lasting way. So the idea for Meetup was born: Could we use the internet to get off the internet -- and grow local communities?

Forse non tutti sanno che i Meetup sono nati proprio in seguito all'11 settembre.
Lo racconta il fondatore Scott Heiferman in una email inviata a tutti i membri.

sabato, settembre 03, 2011

Impressioni (norvegesi) di settembre

Parliamo molto di politica, con i norvegesi. Ascolto le loro inevitabili, perplesse domande su quello che succede da noi.
Ne faccio molte anche io, curiosa di capire come possa funzionare un contesto politico che sembra tutto meno che conflittuale: una cosa a cui noi italiani non siamo proprio abituati, spiego loro. 
"Consensus", usano molto questa parola. Qualcuno quasi si scusa nel dirlo. Tipo: "Sì, forse non è bello e non è sempre giusto cercare l'accordo, il consenso generale. Ma siamo quattro milioni e mezzo di abitanti, pochi, dobbiamo farlo per forza se vogliamo davvero ottenere risultati".
A un certo punto mi chiedo se "consensus" non abbia un altro significato, per quanto forte è l'associazione di idee con il nostro concetto di consenso elettorale, per quanto lontano mi sembra. 
Mi riprometto di controllare una volta a casa, quasi sicura che - in ogni caso - avrò torto comunque.

Cantiere di ricostruzione

Non me ne accorgo giovedì pomeriggio, presa dalla fretta di arrivare all'albergo, cambiarmi e raggiungere gli amici per cena.
Non me ne accorgo al ritorno, dopo una sguardo all'Opera di Oslo e una lunga passeggiata in centro.
Non me ne accorgo nemmeno ieri, quando ci passo davanti per andare verso la Litteraturhuset, dove si svolge la conferenza. O meglio, noto una cosa che mi sembra un cantiere, intravedo dei poliziotti, ma non ci faccio caso.
Me ne rendo conto solo stamattina, quando vedo i fiori infilati in una grata, in quello che è effettivamente un cantiere, un cantiere che non serve a costruire, ma a ricostruire.
Sto ferma un po', cammino, mi volto, cammino ancora un po', mi volto a guardare ancora. I due poliziotti biondi, giovanissimi, mi seguono con lo sguardo, forse mi trovano strana. Mi sento un po' strana anch'io nel rendermi conto del più classico dei "guardare senza vedere".

mercoledì, agosto 31, 2011

Nordic Techpolitics - preview

Domani parto per Oslo e venerdì seguirò la conferenza Nordic Techpolitics (qui il programma).

Su TechPresident ho scritto una piccola presentazione di alcuni dei molti temi della conferenza. Ne scriverò ancora mentre sarò lì, cercando di fare un po' di cronaca su TechPresident, appunto, e - via Twitter - su PdF Europe.

lunedì, agosto 29, 2011

Nordic Techpolitics - Oslo, 2 settembre

Venerdì prossimo sarò a Oslo per seguire una conferenza chiamata Nordic Techpolitics: si parlerà di come la tecnologia stia avendo un impatto su politica e società nei paesi nordici.
Sarà interessante cercare di capire come si muovono le cose in contesti così diversi e se, come si chiedono gli organizzatori, esiste un "modello nordico" anche per questo genere di processi.

Di particolare interesse per me sarà la tavola rotonda tra i responsabili della comunicazione dei partiti norvegesi, anche considerando che la Norvegia è prossima alle elezioni, fissate per il 12 settembre (in Danimarca si svolgeranno il 14).

N.B. Speaker e programma sono a disposizione sul sito, così come tutte le informazioni del caso. L'evento è co-organizzato dal Personal Democracy Forum, con cui collaboro.

domenica, agosto 28, 2011

giovedì, luglio 28, 2011

Data journalism: come si fa al Guardian

Simon Rogers, che gestisce Datablog e altri progetti del Guardian, spiega come il data journalism stia diventando lo standard per il giornalismo e perché:
If data journalism is about anything, it's the flexibility to search for new ways of storytelling. And more and more reporters are realising that. Suddenly, we have company - and competition. So being a data journalist is no longer unusual.
I dati sono parte integrante delle storie, non è necessario essere programmatori (anche se aiuta - alla Columbia i corsi di giornalismo in partenza a settembre esploreranno anche quell'aspetto), ma giornalisti.

E al Guardian, probabilmente, il data journalism è fatto meglio che in qualunque altro posto.

sabato, luglio 16, 2011

Quando il sindacato va in Rete

Cosa succede quando anche il sindacato si avvicina alla Rete?
Su TechPresident Nick Judd spiega come si sta muovendo in Rete il Service Employees International Union (SEIU), influente sindacato americano, e cosa può significare in termini di strategia:

It's worth noting for three reasons. First, SEIU locals are very politically active, so flag this as a decision to evaluate after this year's state and local elections and the 2012 presidential election. Secondly, if you're looking for an organization to track to see how a massive, membership-driven institution is changing what it does to leverage the power of the Internet, the SEIU's moves are probably ones to watch.
And, finally, while it's unclear if this had any affect on the decision, SEIU's staffing move comes after months of running battles over right-to-work legislation, budget cuts, or bills that curtail public-sector unions' collective bargaining abilities. During those battles, many unions, not just SEIU, turned to the Internet — and many locals have emerged with members battle-tested in online organizing as a result.

Qui tutto l'articolo.

lunedì, luglio 11, 2011

Islanda: la costituzione in crowdsourcing (e un Meetup a Roma)

Cosa succede quando si rompe del tutto il rapporto fiduciario tra un popolo e chi lo governa?
Come pensare di ricostruirlo? Come riscrivere le regole?

Sono domande all'ordine del giorno, dato quello che sta succedendo in molte nazioni europee.
Dopo il collasso economico, la piccola Islanda sta sperimentando forme di apertura e collaborazione impensabili: la sfida di questo ultimo anno si chiama Costituzione. Il documento fondante della nazione viene riscritto in questi mesi coinvolgendo la popolazione in tutte le fasi del processo.
Ne parlo oggi su Apogeonline.

P.S. Ovviamente viene spontaneo chiedersi: e in Italia? Se vi va, domani ne parliamo al PdF Meetup di Roma, alle 19. L'incontro fa parte di una giornata internazionale di Meetup che noi del Personal Democracy Forum abbiamo deciso di organizzare per parlare di tecnologia e politica e di quello che sta succedendo. Trovate qui tutte le informazioni e l'elenco delle città coinvolte.

mercoledì, giugno 29, 2011

New York: una vittoria politica più improbabile di quanto sembri

Dovevo segnalare questo pezzo già da qualche giorno, mi è tornato in mente oggi dopo un lungo discorso sui risultati politici e sociali, le cause, i fattori, la politica e la partecipazione.

In un periodo in cui c'è un malinteso senso di governo dei processi da parte della gente, dei movimenti, dei partiti che "devono ascoltare" (e devono ascoltare) e "non devono parlare" (e no, invece, devono), il New York Times spiega l'improbabile combinazione di forze che ha portato all'approvazione dei matrimoni per le coppie omosessuali nello stato di New York, venerdì scorso.
Il voto, va ricordato, è avvenuto in un senato a maggioranza repubblicana: sono quindi stati decisivi i voti di alcuni senatori repubblicani. Le forze in campo?
The story of how same-sex marriage became legal in New York is about shifting public sentiment and individual lawmakers moved by emotional appeals from gay couples who wish to be wed.
But, behind the scenes, it was really about a Republican Party reckoning with a profoundly changing power dynamic, where Wall Street donors and gay-rights advocates demonstrated more might and muscle than a Roman Catholic hierarchy and an ineffective opposition.
And it was about a Democratic governor, himself a Catholic, who used the force of his personality and relentlessly strategic mind to persuade conflicted lawmakers to take a historic leap. 
Un articolo dettagliato che mostra come certi processi siano complicati e mettano in campo politica, partecipazione, individualità e interessi economici ed elettorali, con tutte le luci e ombre di un contesto del genere.
Scontato che funzioni così? Forse sì, forse dovremmo ricordarcene più spesso quando cediamo (o sentiamo cedere) alla tentazione di lodare i nuovi "superpoteri della gggente", senza relativizzare e porre queste nuove forme di partecipazione e azione in un quadro più ampio ed articolato. Più complicato di quanto vorremmo, magari.

Fare politica senza parlare di politica: gli open data e il futuro

Il modo in cui decidiamo sul nostro futuro comune mi sembra qualche volta completamente fuori centro: si parla delle personalità dei leaders invece che delle loro politiche. Le stesse politiche diventano sembrano assumere connotati molto diversi a seconda di chi le propone: i “nostri” tagli di bilancio sono un assennata misura di controllo degli sprechi, mentre quelli degli avversari sono stangate indiscriminate su servizi essenziali. Il tutto è decisamente troppo emotivo; troppo perché votare “di pancia” rischia di avere conseguenze gravi (chi fosse interessato può leggersi “Il mito dell’elettore razionale” di Bryan Caplan). 
In un momento storico in cui si fa fatica a parlare concretamente di temi e azioni, tutta la mia ammirazione va a chi riesce a fare politica parlando di politiche e lavorando concretamente per obiettivi.
Con Alberto Cottica ho lavorato in passato e ho di lui grande stima: non mi stupisce quindi ascoltare un discorso del genere su politiche pubbliche e dati, ma mi sembra sia il caso di riproporlo qui.



Il valore degli open data, di un'analisi fondata, della loro interpretazione e della costruzione di relazioni con il contesto e le politiche. Prendete venti minuti di tempo e guardate il video.

venerdì, giugno 24, 2011

A chi conviene l'anonimato in Rete? Il caso Amina e altre storie

The fake Amina's blog was especially well done, with details that sounded authentic even to native Syrians. Its unmasked author said he was telling larger truths, but we have a name for this technique: fiction.
We also have a name for the technique of identity in this case: pseudonym. This is a much-used method online – not revealing one's own name but having a consistent identifier. It's one step away from outright anonymity, where there is no accountability whatever. As I wrote last week, the lack of accountability in such cases puts more responsibility on the audience. It is up to us to cultivate an abiding distrust for speech when the speaker refuses to stand behind his or her own words – that is, by using one's own name.
Sul Guardian Dan Gillmor parla del caso Amina, di credibilità e anonimato in Rete. Che non ci conviene eliminare.

lunedì, giugno 06, 2011

mercoledì, giugno 01, 2011

On hiatus


BB's spiderweb, inserito originariamente da farenheit_81.

martedì, maggio 31, 2011

venerdì, maggio 20, 2011

Che cosa vuole la Puerta del Sol? Ecco le richieste della protesta pacifica che dal 15 maggio sta invadendo la Spagna.

[Dallo scorso 15 maggio in Spagna è in corso una protesta pacifica che ha portato in piazza moltissime persone in mobilitazione permanente, prima a Madrid, presso la Puerta del Sol, e poi in moltissime città spagnole. Qui la traduzione di un articolo di El Paìs che spiega le richieste di queste persone. Mi sembra ce ne sia bisogno, data la quasi assenza del tema sui mezzi di comunicazione italiani, e per l'impatto di quello che sta succedendo - in modo autorganizzato, non politicizzato e del tutto pacifico.
La traduzione è di Matteo Colombo.]


A pochi metri dal Parlamento spagnolo, è nato un altro parlamento. Un'altra democrazia nasce da zero al chilometro zero, e ha trasformato la centralissima piazza della Puerta del Sol di Madrid in una grande agorà. Anziché banchi pieni di deputati, metri quadrati di suolo. Anziché un presidente della Camera, un moderatore che viene da studi classici e che attualmente lavora come interprete.

Un ragazzo prende nota di tutto ciò che si dice e fa un riassunto di ogni tema prima di passare al seguente. Non esiste un ordine del giorno, ma un foglio con 24 punti di discussione, aperti a contributi e proposte che si susseguono semplicemente per alzata di mano, e che vengono approvati agitando la mano come nel linguaggio dei sordomuti.

Esistono commissioni suddivise per aree tematiche (comunicazione, assemblea, infrastrutture, alimentazione...), ma anziché avere sede in uffici si trovano sotto tende, teloni, o anche a cielo aperto. Ci sono perfino i capannelli di discussione, che però non stanno nei corridoi, ma per strada, in ogni angolo. Confronti dialettici accalorati e appassionati nascono come funghi, nella nuova agorà della Puerta del Sol. Basta tendere l'orecchio e chiunque può aggiornarsi sui temi più caldi dell'attualità. I cittadini parlano.

 «Consideriamo ingiuste leggi come la Ley de Extranjeria [legge sull'immigrazione che prevede, tra le altre cose, multe fino a 10.000 euro per chi dà rifugio a immigranti clandestini, laddove per “rifugio” si intende “sostentamento economico”, leggi: colf e badanti], il Plan Bolonia [o Bologna Process, un progetto di riforma universitaria europea], la Ley Sinde [legge sul diritto d'autore in rete con importanti ricadute sul controllo dell'espressione online], la legge elettorale, e la legge di uguaglianza di genere», risuona da un megafono che passa di mano in mano nell'assemblea. «Bisogna farla finita con il sostegno dello stato alla Chiesa», sostiene una signora di mezz'età. «Le misure di salvataggio economico devono interessare le famiglie sfrattate, e non le banche», dice un giovane. Una valanga di proposte che si protrae per un'ora e mezza. «Stiamo cercando un consenso su alcune linee guida che ci aiuti a chiarire le questioni che vogliamo promuovere», osserva il moderatore.

Come nel racconto “L'autostrada del Sud” di Julio Cortázar, un evento straordinario ha prodotto una realtà nuova dotata di una dinamica propria. La manifestazione che lo scorso 15 maggio ha riunito migliaia di persone indignate per la situazione sociopolitica ed economica della Spagna, e il successivo accampamento permanente nel centro nevralgico di Madrid, hanno generato un micromondo che va creandosi e contemporaneamente gira, in senso contrario a quello che stava diventando quotidiano.

La prima tappa è stata organizzarsi e garantire i bisogni di base. La seconda, in questo preciso momento, è articolare un discorso che permetta di spiegare alla società un malcontento globale e generalizzato contro le carenze del sistema democratico imperante.

L'obbiettivo è quello di dare fisionomia definita a una protesta che è riuscita nell'impresa di aggregare l'enorme ed eterogenea quantità di persone che stanno prendendo parte a questo movimento spontaneo. Un movimento che, al di là di chi presenzia ogni giorno alla Puerta del Sol, riunisce e concentra un più ampio sentimento collettivo di disincanto ed esasperazione che sta mettendo in ginocchio il paese. Il cosiddetto “Movimento 15-M” si gonfia e si sgonfia, cresce e diminuisce a seconda dell'orario. Ogni giorno ci sono tre assemblee e una concentrazione.

[...]

Il lavoro e le riunioni di ieri si sono quindi concentrati sul creare un germe di questo manifesto di base. Innanzitutto, i temi principali che più stanno a cuore, poi le proposte, e infine le votazioni. Il risultato di questo processo sarà una specie di programma generale che sostituirà il manifesto originale, che si limitava a identificare il movimento, e che cercherà di dare una risposta alla grande domanda degli ultimi quattro giorni: agli indignati le cose come stanno non piacciono. Ma cosa vogliono?

Le assemblee di ieri hanno manifestato il loro appoggio a una serie di proposte che, sommate a quelle che a mano a mano vengono depositate nelle urne di raccolta di ciascuna commissione, costituiranno la base sulla quale, una volta effettuata una votazione, si cercherà di elaborare il manifesto di base di cui sopra. Di seguito, alcune delle rivendicazioni emerse:

 - Abolizione delle leggi ingiuste. Cancellare e sostituire norme come la Ley Sinde, il Plan Bolonia, La Ley de Extranjería, la Ley de Partidos o la legge elettorale. Si sostiene inoltre che le leggi-quadro approvate dalle Corti debbano essere precedute da un referendum.

- Terza Repubblica. C'è chi chiede un referendum per scegliere tra monarchia e repubblica, mentre altri preferirebbero far sparire completamente dalla Costituzione qualsiasi cosa abbia a che vedere con la famiglia reale.

- Riforme fiscali. Si chiede di «favorire i redditi più bassi», che «chi possiede di più, paghi di più» e che «l'IVA diventi un'imposta progressiva.» Chiedono inoltre, tra molte altre cose, «l'applicazione della Tobin Tax per colpire la speculazione e il movimento di capitali, e che le relative entrate vengano reinvestite nel sociale.» Analogamente, si propone di «nazionalizzare le banche salvate.»

- Trasporti e mobilità. Favorire il trasporto pubblico e alternativo all'auto, creare una rete di piste ciclabili, sovvenzionare l'abbonamento ai trasporti pubblici per i disoccupati.

- Riforma delle condizioni di lavoro della classe politica. Si chiede la soppressione degli stipendi vitalizi, della "formazione controllata" per i funzionari pubblici (chiedono che si acceda ai livelli più alti di queste professioni tramite concorso), la revisione e il bilancio dell'attività politica alla fine di ogni mandato, liste elettorali pulite e libere da imputati di corruzione politica.

- Democrazia partecipativa e diretta. Auspicano un funzionamento per assemblee a livello cittadino (quartieri, distretti) che si basi su Internet e sulle nuove tecnologie. Chiedono inoltre di aver voce in capitolo sulle questioni relative alla gestione dei budget delle varie amministrazioni. In generale, la decentralizzazione del potere politico.

- Miglioramento e regolarizzazione dei rapporti lavorativi. Nella sostanza, mettere fine alla precarietà salariale e all'«abuso» degli stagisti, fissando un salario minimo di 1200 euro, con uno Stato che si faccia garante del lavoro e dell'uguaglianza salariale.

- Ecologia e ambiente. Chiusura immediata delle centrali nucleari e promozione delle economie sostenibili.

- Recupero delle aziende pubbliche privatizzate. La gestione deve tornare nelle mani della pubblica amministrazione.

- Forze dell'ordine. Riduzione della spesa militare, chiusura delle fabbriche di armi e rifiuto di intervento in qualsiasi guerra.

-  Recupero della memoria storica. Condanna del franchismo.


L'articolo è stato pubblicato oggi su El Pais ed è a firma di Patricia Ortega Dolz e Inés Santaeulalia

giovedì, maggio 19, 2011

Nobody expects the Spanish revolution

Homepage di El País, giovedì, ore 20.15


Twitter, giovedì, ore 19.41

Obama e il certificato di nascita - the mug edition

L'organizzazione della campagna Obama 2012 non ha colto l'attimo per sfruttare a proprio favore gli attacchi al presidente sul controverso certificato di nascita.
Ma, a quanto pare hanno deciso di sfruttare il tema col merchandising della campagna.

Un po' in ritardo? Vedremo.

La rabbia come forza di impegno positivo [una ricerca "sul pezzo"]

Puerta del Sol, Madrid (foto di Lucio Colavero)
Qui gli ultimi giorni scorrono tra elezioni, entusiasmo crescente (a Milano per il ballottaggio) e pacifiche ma fermissime proteste auto-organizzate (Madrid e tutta la Spagna - con elezioni amministrative in arrivo).

Sulle questioni politiche si tornerà, intanto capita al momento giusto una lettura su una ricerca recentemente presentata (ma non ancora pubblicata*) che parla della rabbia del cittadino come forza potenzialmente positiva e motore per un impegno politico maggiore:
“Anger gets people engaged,” said Brader. “There’s a tendency among scholars and others to say that things like negative advertising are bad. But our paper points out that negative emotions like anger can bring people out and get people more involved. So the consequences aren’t all bad.”
And Groenendyk notes: “If anger is on your side, and it’s mobilizing people to get involved, anger can be a great thing.”

Insomma, la rabbia può essere incanalata in modo positivo ma - dato che rafforza sentimenti e convinzione - porta anche il rischio di "chiusura mentale" (populismo?):
A particular danger of anger seems to be closed-mindedness. Research finds that when citizens get angry, they close themselves off to alternative views and redouble their sense of conviction in their existing views. Fear and anxiety, on the other hand, seem to promote openness to alternative viewpoints and a willingness to compromise.

La rabbia porta anche a superare la paura e - sostengono gli studiosi - anche a investire tempo e impegno in azioni più consistenti e "rischiose" (in senso lato):
“Fear alerts you that something is amiss in your environment and draws your attention and says you should consider your action,” said Groenendyk. “Anger tends to move people beyond that and suggests to them to invest resources in participation and pursue riskier strategies that might cost them something.”
[...] “But anger can be an issue if it’s creating motivations to lash out. Does it stop at just spreading leaflets or voting? Or does it extend to punching opponents or throwing a brick. Politicians might be unleashing it for their own purposes, but it’s unleashing a powerful force that’s hard to control.”

Ma fino a che punto questa situazione è positiva e come si concretizza? Come provare a controllarla (per un politico) e organizzarla (per gruppi di cittadini)?



[*Il titolo della ricerca in questione è “Fight or Flight? When Political Threats Arouse Public Anger and Fear” ed è stata realizzata dai professori di scienze politiche Ted Brader, Nicholas Valentino (University of Michigan) e Eric W. Groenendyk (University of Memphis) ]

sabato, maggio 07, 2011

The Filter Bubble - una "bolla" più pericolosa?

Al Personal Democracy Forum 2010 uno dei miei interventi preferiti è stato quello di Eli Pariser, intitolato The Filter Bubble.
Secondo Pariser (fondatore e presidente di MoveOn.org e co-fondatore di Avaaaz), la personalizzazione è ormai parte integrante del nostro consumo di contenuti in Rete e questo - incorporato in modo più o meno (in)visibile negli strumenti che usiamo più spesso, vedi Google e Facebook - ci porti fondamentalmente a non avere la possibilità di essere esposti ad altri punti di vista.

Adesso Pariser ha pubblicato un libro che si chiama, appunto, The Filter Bubble e che ha un sito collegato.
Qui il suo speech a PdF 2010, lo scorso anno.



L'idea, va detto, non è certamente nuova (ne avevo letto una trattazione nel 2005 su Republic.com di Cass susntein), ma Pariser parla oggi e fa esempi molto significativi e concreti, non limitandosi a un'analisi in termini di processo.

Insomma, è un libro che mi propongo di leggere presto, così come voglio recuperare anche il suo talk fatto a TED un paio di mesi fa. Idee, dubbi e considerazioni sono i benvenuti.

domenica, maggio 01, 2011

Friend of Charleston

Ci sono posti che aspetti di vedere da anni e che non ti deludono, posti dove ti senti subito a tuo agio per motivi evidenti e, insieme, meno evidenti.
Questo è stato il caso di Charleston, la casa di campagna che ha ospitato per decenni il Bloomsbury group e che ho visitato la scorsa estate.

Non so se ci tornerò presto, ma di recente mi è tornato in mente e ho pensato che sarebbe stato bello iscriversi ai Friends of Charleston e ho scritto per avere informazioni. Questa settimana, tornando a casa, ho trovato una lettera dall'Inghilterra con tutte le informazioni e le iniziative dell'estate.
Fateci un giro, ecco.

sabato, aprile 30, 2011

Lo strano caso del certificato di nascita: Obama, i birthers e un errore strategico

In questi giorni negli Stati Uniti uno dei principali temi politici è stato il certificato di nascita del presidente Obama: un'occasione di riflessione sotto vari punti di vista.


Lo strano caso del certificato di nascita
La possibilità che il presidente non sia nato negli Stati Uniti (requisito di base per la sua elezione) è stato un argomento già usato dai repubblicani in campagna elettorale, facendo leva sul suo secondo nome (Hussein) e su vari altri elementi per instillare il dubbio - e peggiori sospetti - nella popolazione.
Adesso, con l'inizio della nuova campagna elettorale, il tema viene riportato alla ribalta, tra l'altro con Donald Trump portavoce d'eccezione  - si candiderà?).
Tra le battute dei commentatori democratici e la satira (per tutti: Why Won't Hawaii Produce Documents Proving It's a State?), lo scorso 25 aprile la Casa Bianca ha reso pubblico il certificato - e anche qui l'Huffington Post non ha perso l'occasione di una presa in giro ai birthers, coloro che sostengono questa battaglia.



An "unforced error"
Qui entra in gioco la strategia di risposta. O meglio, dovrebbe.
L'argomento e l'insistenza della richiesta, oltre all'uso strumentale che ne viene fatto, sono argomenti da girare potenzialmente al proprio elettorato, più ancora che per chiarire la propria posizione, per dare possibilità di avere tutti gli strumenti per controbattere a una "bufala" di facile diffusione.
Ma nella periodica email inviata alla base di 13 milioni di elettori dallo staff della campagna non c'è traccia della questione "birth certificate". Come mai?
Micah Sifry ne parla su TechPresident riportando l'opinione di un osservatore di spessore, il giornalista Ari Melber:
From a purely strategic political perspective, the mainlining of the birther attack is a major mobilizing opportunity, and it's the kind of thing they were adept at during the campaign, but have been reticent to do in the OFA/governing period. ...Also, the core activists opening these emails are news consumers, this was the big political story, so choosing to send a message like this on such a big day - a day that was even intense and emotional for many supporters and African Americans - without any reference to it makes it feel like the campaign messages are coming from a different planet, rather than providing special information and a direct line to Obamaland.

Micah aggiunge la sua visione più generale su quello che Obama For America è stato in campagna elettorale e non è più riuscito ad essere dopo la vittoria:
For years now, it's been obvious that OFA's approach to its base has been radically different from the days of the Obama campaign. Then, the campaign stoked supporters passions. Now, they try to temper them. Instead of firing people up in ways that might be uncontrollable, OFA sought to keep its base engaged with innocuous activities that shook few windows and rattled few walls. (I've heard, internally, that this was referred to as the "hamster wheel" approach.) The result is what I've called "The Obama Disconnect."

The Obama disconnect: un doppio fallo
Il tema è stato dibattuto in questi anni - molto poco in Italia, dove la campagna elettorale di Obama ha ancora l'aura mitica della vittoria dell'outsider e del ruolo della Rete in questa vittoria.
Ma il disincanto non sfugge agli osservatori più attenti e se ne è parlato di recente al panel sull'informazione politica svoltosi al Festival del Giornalismo a Perugia.
Micah aveva affrontato l'argomento in questi termini e proprio per questo mi è sembrata una buona idea chiedere agli altri speaker una loro opinione.
Stefano Epifani risponde con un bel post in cui dice la sua mantenendo la metafora sportiva. E rincarando la dose:
più che un unforced error quello di Obama mi sembra – sempre per rimanere nella metafora sportiva – un doppio fallo.
  • un errore è quello tattico, ossia non aver citato nella mail il tema del fatidico certificato di nascita cercando di volgerlo a proprio favore;
  • l’altro errore è quello strategico. Ed è più grave. Non farlo ha voluto dire non dare ascolto a tutti quegli elettori con i quali Obama si vanta di aver aperto un dialogo (ma l’ha aperto davvero?) dando loro voce ed ascolto. Dov’è finito quell’ascolto ora, che una parte importante della Rete (e che sia importante lo si vede anche, ad esempio, dal numero di visitatori di alcuni video su YouTube) pone una domanda in maniera così pressante? Se si vuol avviare un dialogo non si possono ignorare le domande dei nostri interlocutori.
E’ vero, in rete si dice “don’t feed the Troll“, ma in questo caso i troll non sono tali ma sono elettori e sono molti, e sono parte importante di quel popolo che dovrebbe rinnovargli la fiducia. Ignorarli non mi sembra un buon modo di costruire il dialogo.